di Redazione
È stata inaugurata presso CEContemporary di Milano (in via Gerolamo Tiraboschi 2/76) "Photographie en Pointure #3", la mostra di fotografia
cucita di Stefania Beretta e Annegret Soltau a cura di Christine Enrile, che proseguirà fino al 15 febbraio 2025.
Si tratta del terzo step di un percorso volto a indagare il tema dell’impuntura sulla fotografia che ha avuto come fonte d’ispirazione la vivace polemica condotta da Meyer Schapiro, studioso
dell’opera “Les Souliers” di Van Gogh, nei confronti di Martin Heidegger, che aveva preso come esempio, per esprimere il suo pensiero sull'arte, nel suo saggio “L’origine
dell’opera”, proprio il famoso dipinto del 1886.
In questa stimolante disputa entrò anche il filosofo francese Jacques Derrida che tentò di porre fine alla diatriba con “De la véritè en pointure”, un testo filosofico che si adatta
perfettamente alla forma delle opere esposte, tutte impunturate dalle artiste con la punta dell’ago, intese quasi come estensioni del loro essere.
Opere che si aprono liberamente allo sguardo dell’osservatore, e che danno vita a rimandi differenti in base a come si preferisca coglierne il contenuto, diventando così elementi per un
produttivo dialogo culturale fatto di confronti e riflessioni.
Stefania Beretta - svizzera - e Annegret Soltau - tedesca - sono artiste mitteleuropee che hanno scelto di utilizzare il medium fotografico con intervento di cucito con tutte le
implicazioni che questo processo creativo ingenera; non ultimo, la possibilità di rendere l’opera un pezzo unico.
L’una utilizza il filo colorato, l’altra quello nero, per ri-flettere, per indagare oltre lo specchio, andare al di là della portata dello sguardo oltre l’enigma.
L’opera, risultato della mediazione fra la macchina fotografica e quella da cucire, formalizza per Stefania Beretta gli Stitched Landscapes: paesaggi che si presentano come echi e
risonanze di luoghi che perduta la loro identità originaria acquisiscono nuove connotazioni scaturenti da un immaginario senza barriere geografiche o linguistiche.
Laghi, boschi, località diventano segni, simboli, messaggi enigmatici, un vocabolario ontologico e estetico per avvicinarci alla verità di ciascun elemento intelligibile, ovvero la sua
idea.
Per Annegret Soltau, artista pioniera nel campo dell’arte, femminista attiva sull’area della performance, del segno grafico, dei collage e della metafora, fotografia e cucito configurano, invece,
una ricerca della propria identità fisica e mentale.
Annegret Soltau, con le opere delle serie Personal Identity, Grima, Ich, Selbst e Stefania Beretta, con gli Stitched Landscapes, portano in mostra l’enigma dello specchio che mette
continuamente alla prova, coinvolgendo ciascuno in modo diverso.
Come illustra mirabilmente il filosofo Andrea Tagliapietra nel suo testo “La Metafora dello specchio” (ed. Donzelli):
“Lo specchio mostra, ma non risponde. Sulla soglia dello specchio incontriamo sempre qualcosa di perturbante e vertiginoso che continua a suscitare domande che non ci dà soluzioni e ci spinge a
continuare a indagare”.
Le due artiste vivono, attraverso le loro opere, l’esperienza dello specchio, che, come ci spiega Tagliapietra“con le sue infinite epifanie e i suoi infiniti congedi genera quel gran gioco del
mondo che mentre si mostra insieme anche ci mostra”.
Gli Stitched Landscapes di Stefania Beretta, presenti nella rassegna, sono la naturale evoluzione della serie, in progress dal 2006, Paesaggi Improbabili, come risposta
all’esigenza dell’artista di superare la bidimensionalità e la produzione in serie dell’opera fotografica.
Le influenze dei lunghi viaggi che Stefania Beretta compie fin dagli anni ’80 in Europa, America e sopratutto in India le offrono la possibilità di entrare in quella atmosfera di
sospensione della vita orientale, allontanandosi dalla tipica vita d’azione dell’Occidente. “E le permettono di trasmettere nell’opera la dimensione intima di un rituale che diventa nel
racconto visivo, partecipazione, memoria e testimonianza, come sottolinea la critica d’arte Viana Conti che tanto ha scritto sull’artista.I piani verticali e orizzontali di una cattedrale dove
l’immaginazione sale, scende, staziona, inventano un percorso di impunture, sinteticamente armoniche e melodiche, che agiscono come un trait d’union tra il cielo e la terra, tra il visibile e
l’invisibile.”
Di Annegret Soltau, una delle più stimate protagoniste dell’arte contemporanea in Germania sono presenti in mostra opere delle sue serie più note fra le quali gli autoritratti degli anni
Settanta della serie Selbst. Il terreno d’indagine dell’artista è quello dell’identità femminile che, fin dall’inizio della sua carriera, viene esplorato sperimentando dapprima con il
disegno e la grafica poi con le spettacolari performance che la vedono aggrovigliata in fili neri che alcune volte coinvolgono anche gli spettatori e gli spazi.
Da questi happening sono nate diverse serie di autoscatti su cui la Soltau, formatasi all’Accademia di Belle Arti di Amburgo, interviene con le cuciture quasi creando un collegamento fra
la linea protagonista della sua formazione e il filo divenuto suo segno distintivo, al punto che oggi l’artista è considerata una pioniera della foto-sutura e impuntura e
di una particolare tecnica di collage di cui sono testimonianza le opere in mostra.
Volti e corpi che rappresentano se stessa o membri della famiglia vengono de-costruiti e ri-assemblati dando vita a strane forme amorfe e composizioni organiche che lacerano i codici sociali e le
definizioni di genere tradizionali divenendo metafora dell’interiorità e della condizione esistenziale dell’essere umano.
La ricerca dell’identità, la metamorfosi del corpo, il superamento delle convenzioni, la mancanza di libertà, le connessioni sono il terreno d’indagine di Soltau.
Un’artista considerata attualmente un punto di riferimento internazionale per lo sviluppo delle ricerche sperimentali in ambito fotografico e spesso indicata come esempio per riflessioni
sull’Arte femminista degli anni Settanta e Ottanta.
crediti foto: ufficio stampa CEContemporary